Nicoletta Buonapace
poeta
Sia lode al dubbio!
Tu, tu che sei una guida, non dimenticare
che tale sei, perché hai dubitato
delle guide! E dunque a chi è guidato
permetti il dubbio!
Bertolt Brecht
Una discussione anima con toni accesi e talvolta sopra le righe, il movimento delle donne. Pensatrici e associazioni si scontrano su un terreno quanto mai scivoloso e impervio. L’oggetto del contendere sembrerebbe essere riconoscere o meno la possibilità ad “altre” di dirsi donne . Una parte del movimento, così detta transfemminista è disposta a confrontarsi e creare alleanza con questi soggetti imprevisti, donne trans, che si sono affacciati sulla scena politica riconoscendo nelle loro storie, nelle loro vite, una comune radice di oppressione, quella esercitata dal sessismo e dalla costruzione sociale del genere.
Un’altra parte, proveniente dal femminismo nato negli anni 70 e con la convinzione di rappresentarlo nella sua integrità, pensa che solo chi è nata donna e ha vissuto sulla propria pelle un’oppressione “in quanto donna”, possa di diritto dirsi tale. Si avrebbe perciò da parte delle “altre” una sorta di appropriazione indebita di un’identità non transitabile né negoziabile, una specie di inglobamento del femminile da parte di un soggetto comunque per sua propria storia “ maschile” e dunque predatorio.
Per le stesse ragioni chi si riconosce in questa posizione esprime opinioni molto rigide riguardo alla così detta gestazione per altri, volontariamente, volgarmente e ripetutamente definita “utero in affitto”. Tale pratica costituirebbe uno sfruttamento e un’espropriazione della maternità anche in presenza di percorsi condivisi.
Allo stesso modo viene criminalizzata la richiesta di taluni diritti legati all’offerta di prestazioni sessuali in cambio di denaro, così detti sex workers.
Ricordo perfettamente le reazioni del femminismo al nascere dei primi movimenti separatisti lesbici. Molte dicevano che non era necessario, che dirsi lesbiche fosse sostanzialmente mettere in atto una spaccatura tra le donne, soggetti di una comune oppressione, che i problemi erano altri, che era insignificante l’orientamento affettivo in una donna femminista.
L’incontro con altre donne lesbiche mi ha fatto crescere e apprendere una modalità di pensiero e di relazione nella quale la dimensione intima e quella politica si intrecciavano illuminando le nostre vite di nuove consapevolezze. Da allora la nostra storia ci ha portato lontano. Oggi condivido il cammino con altre donne grazie a quell’identità che ho conquistato e che mi appartiene. Si tratta di progetti e pensieri che stanno dentro un’idea di liberazione complessiva dal genere, dai ruoli che su di esso sono stati costruiti, ma anche dalla povertà, dai confini, dall’ingiustizia economica e sociale. Solo questo può far sì che i diritti che abbiamo conquistato come donne e lesbiche non diventino dei privilegi.
Ciascuno e ciascuna di noi è molto più di un corpo determinato biologicamente. Donna e uomo sono sostantivi per il dizionario, parole astratte che definiscono il solo genere. Nella cultura, nella storia, nel discorso, nel vivere di ciascuno, si saturano invece di significati e contenuti che vanno al di là della grammatica e che sono determinati storicamente, nel tempo e nello spazio, declinabili secondo le diverse appartenenze culturali, continuamente, mi verrebbe da dire, in transizione, e questo crea conflitti sia interni che esterni. I conflitti non sono eliminabili, ma lo sono l’esclusione e la mancanza di rispetto. Il movimento delle donne, proprio per la sua natura non ideologica, in quanto legato ai vissuti personali, ha espresso pensieri e posizioni diverse. Penso che sia fedele alla sua radice là dove ancora apre spazi di inclusione, riflessione, dove interroga, dove trova pensabili alleanze tra soggetti portatori di una propria specifica diversità, dove promuove liberazione a partire dal disvelamento di quei nodi che ancora condizionano le vite.
Per me politica significa lavorare per un bene comune e nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Non esiste bene comune là dove un singolo è schiacciato, cancellato, escluso dalla comunità dell’umano. E se le scelte che riguardano la sua unica vita entrano in conflitto con il mio sentire, non per questo le posso negare né stigmatizzare o farne oggetto di posizioni ideologiche. Quello che posso fare è interrogarmi e ascoltare. Quello che posso fare è esercitare l’arte del dubbio.
Nota: questa riflessione nasce dal dialogo, mai interrotto, con le compagne di Soggettività Lesbica e Anita Sonego alla quale ne dobbiamo la nascita, Lea Melandri, Giuditta Pieti e le donne del Gruppo-Laboratorio di educazione sentimentale della Libera Università delle Donne di Milano, con Elena Mantovani di Famiglie Arcobaleno, i libri di Delia Vaccarello, i pensieri di Francesca Amoni della Casa delle Donne di Milano.
Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura
Tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.
Monologo per Cassandra
Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E' vero sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.
Ora lo rammento con chiarezza :
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.
Li amavo.
Ma amavo dall'alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall'alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos'è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-
E' andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questa è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
Wistawa Szymborska
Il settimo senso
Donne
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
uomini
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
bambini
costruttori di castelli di sabbia
vicino al mare che sale.
Audre Lorde
Volpe
Avevo bisogno forte di volpe bisogno forte
di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava
Avevo bisogno di riconoscimento
da un volto triangolato occhi gialli di stoppia
che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale
Avevo bisogno di storia di rovi leggenda di volpe che corre tra i rovi
Volevo volpe
E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare
Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia
o se il suo
coprpo poteva discorrere attraverso le mani irte verità che
stressano la superficie del pelo
pelle strappata che accusa la leggenda
coraggio di volpe in parole di volpe
Per un animale umano la richiesta d'aiuto
di un altro animale
è il grido più straziante e rivoltoso della terra
è una discesa ripida
Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare senza fine
e da subito
tanto indietro, scappa dalla bocca
nel grido neonato del non ancora nato
il non ancora donna partorito da una femmina
Adrienne Rich
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
Cesare Pavese
Dorme il mio amico
Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.
Ed io veglio perché lui dorma.
Quando son solo è che aspetto il mio amico.
Da lui non vado che la sera.
È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;
La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;
L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,
In cui il pensiero dei saggi si confonde, —
In cui la virtù dei puri si corrompe, —
Tanto la sete è desiderio d’amore
E l’amore è sete di toccare, —
In cui tutto ciò che non è di fuoco
In questa vampa perde il suo colore.
C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;
C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;
Grazie al mio amico
Senza paura attendo la dolce notte.
Quando è sera, il mio amico si sveglia;
Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.
Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.
Gli parlo dei grandi alberi del Nord
E delle fredde vasche in cui la luna,
Pastore celeste, come un amante, si bagna;
Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose
Hanno inventato le nude parole
Mentre quelle che non devono perire
Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —
E che la loro eternità le narra.
André Gide
Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura
Tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.
Monologo per Cassandra
Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E' vero sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.
Ora lo rammento con chiarezza :
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.
Li amavo.
Ma amavo dall'alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall'alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos'è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-
E' andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questa è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
Wistawa Szymborska
Il settimo senso
Donne
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
uomini
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
bambini
costruttori di castelli di sabbia
vicino al mare che sale.
Audre Lorde
Volpe
Avevo bisogno forte di volpe bisogno forte
di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava
Avevo bisogno di riconoscimento
da un volto triangolato occhi gialli di stoppia
che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale
Avevo bisogno di storia di rovi leggenda di volpe che corre tra i rovi
Volevo volpe
E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare
Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia
o se il suo
coprpo poteva discorrere attraverso le mani irte verità che
stressano la superficie del pelo
pelle strappata che accusa la leggenda
coraggio di volpe in parole di volpe
Per un animale umano la richiesta d'aiuto
di un altro animale
è il grido più straziante e rivoltoso della terra
è una discesa ripida
Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare senza fine
e da subito
tanto indietro, scappa dalla bocca
nel grido neonato del non ancora nato
il non ancora donna partorito da una femmina
Adrienne Rich
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
Cesare Pavese
Dorme il mio amico
Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.
Ed io veglio perché lui dorma.
Quando son solo è che aspetto il mio amico.
Da lui non vado che la sera.
È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;
La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;
L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,
In cui il pensiero dei saggi si confonde, —
In cui la virtù dei puri si corrompe, —
Tanto la sete è desiderio d’amore
E l’amore è sete di toccare, —
In cui tutto ciò che non è di fuoco
In questa vampa perde il suo colore.
C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;
C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;
Grazie al mio amico
Senza paura attendo la dolce notte.
Quando è sera, il mio amico si sveglia;
Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.
Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.
Gli parlo dei grandi alberi del Nord
E delle fredde vasche in cui la luna,
Pastore celeste, come un amante, si bagna;
Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose
Hanno inventato le nude parole
Mentre quelle che non devono perire
Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —
E che la loro eternità le narra.
André Gide