Scritti di versi
Nicoletta Buonapace poeta
Bomba
Come si può non preservare, cullare, difendere, un vivere così effimero, la struggente bellezza di quell’istante che è l’adolescente fiorire, l’aprirsi al mondo dello spirito, sempre, sempre giovane, nella meraviglia dello sguardo, inoltrarsi negli infiniti sentieri che percorrono la Terra, ascoltare i sogni che l’attraversano e coloro che li portano sulle spalle, l’avvampare dell’inatteso, l’abbraccio dell’assente che ritorna, una gioia così intensa da provocare il pianto, la danza del caos nel gioco del divenire e nello stesso tempo, proprio per tutto questo pulsare di vita in ogni singola cellula, pensiero, memoria, come si può non sentire un dolore di nostalgia, una certezza di perdita...Eccomi che cammino per strada, d’un tratto acutamente consapevole di una condizione che fino a poco tempo fa appariva normale, l’uscita festosa dei bambini dalla scuola, le coppie allacciate, gli adolescenti in branco con i loro cellulari, sguaiati di riso a parlare e chattare nello stesso tempo, il runner che ti sfreccia accanto misurando il tempo, il passo affrettato dei passeggeri che scendono dal bus, una giovane donna con una sciarpa arcobaleno a stringere un’acconciatura rasta sulla sommità del capo, un ragazzo dai capelli scuri e corti da un lato, turchesi e lunghi dall’altro, una fata metropolitana vestita di pelle rossa, forse uomo forse donna, il soffio del vento tra i miei capelli, che profuma di primavera, un bambino capriccioso , sua madre che lo prende per mano, la certezza della mia casa alla fine della strada, della scrivania a cui mi siederò, del silenzio che benedico ogni volta, il rito d’ogni pomeriggio, la conversazione con mia madre al telefono, l’amica con cui uscirò a cena…e ancora, ancora, l’ultimo raggio di luce del sole, l’azzurro del cielo che scurisce dolcemente, con quell’attesa del bozzolo, un progetto come un figlio, nascosto nel folto dell’ombra e il suo certo schiudersi in un colpo d’ali e nella testa passaggi rapidissimi di conversazioni come stelle comete, grata per l’orizzonte sempre aperto sul nostro cammino,per il tuo volto adorato, per tutta la strada percorsa insieme, perdendosi e ritrovandosi, per aver condiviso la tavola apparecchiata per noi dal destino e aver conosciuto ogni tipo di ebbrezza…e ora, in questo preciso istante, so che tutto questo, è come non fosse stato mai e ora sono qui e sono gli stessi, che mi circondavano, proprio qui, proprio adesso...vite, confuse, esplose dentro i palazzi che bruciano, nelle strade sventrate, nei palazzi crollati, tra raffiche di proiettili, mondi che cadono nella massa indistinta dell’universo, nessuna vita è più singolare, irripetibile, unica…quanto bisogna divenire ciechi, sordi, vuoti per esercitare l'arte della menzogna più crudele e crederci, crederci con tutta la forza del sangue a quella torsione dell'immaginazione che ti fa decidere che sì, vale la pena uccidere, che sì, puoi morire per questo braccio alzato contro il nulla, a sopportare milioni di lutti come universi spenti lontanissimi nel cielo buio.
"Sappiate che la terra madonnerà in grembo la Bomba
che nel cuore degli uomini a venire altre bombe nasceranno
bombe da magistratura avvolte in ermellino tutto bello
e si pianteranno sedute sui ringhiosi imperi della terra
feroci con baffi d'oro"
Gli ultimi cinque versi di "Bomba" di Gregory Corso, una poesia nella traduzione di Fernanda Pivano, dentro il libro che mi aveva regalato mio padre, che non capiva la poesia, e neppure me, e neppure sapeva che era stato in riformatorio, ma amava gli americani (e anche me), che ci avevano liberato quando lui era un bambino e se li ricordava i soldati e la cioccolata e non lo sapeva che mi regalava una rivoluzione di parole e una ribellione di poeti pieni di grazia e pazzi di visioni ubriache, a ricevere le illuminazioni...e ora tocca a me e non so se la poesia può ancora salvare qualcuno, o se la bellezza salverà il mondo, ma di certo ha salvato me...
Volevo dirti tutti i sentieri
nelle corse sfrenate
d’una stagione di luce
i volti infantili sudati
affamati di gioia
e il cuore a scandire l’amore
giorni infiniti di certezze
quel filo sottile agganciato
all’imprevedibile aquilone
delle possibilità
ho sognato mio padre oggi
addomesticava pesci preistorici
nell’acqua bassa d’un mare inquieto
li prendeva con le mani nude
dal petto dell’onda disarmati
alla luce fuori dall’acqua buia
della mia paura - lo amavo per questo
ci sono ansietà più profonde oggi
nella gola delle genti terrori
celati nella rabbia e nell’offesa
vorrei raccoglierle come pesci
trasformare ogni smarrimento
in perla di luce per distinguere
nella notte il sentiero che fu nostro
Fare Poesia
La radice etimologica di poesia, dal greco ποίησις implica un fare le parole: per me quelle che restano al fondo del setaccio, intrise di quella luce e di quel torbido che sta nel vivere, nei ricordi, sui sentieri perduti e ritrovati, che risuonano nei silenzi di una struggente quanto misteriosa nostalgia.
Se fossi un atleta e la poesia una disciplina olimpica, la gara sarebbe quella dei cento metri su pista, una corsa a piedi nudi, fino a spaccarsi il cuore. Una lotta contro millesimi di secondo. La memoria come un lampo. Nulla da raccontare, nulla da spiegare, nessun principio, essenza o verità. Nessuna trama, personaggio, architettura. Solo il turbine e la necessità, un'ultima immagine, il tempo di un respiro, un vuoto oltre la linea del traguardo, una solitudine. A volte, una caduta.
Un verso ben scritto è qui e ora, istante, parola che illumina un sentimento ancora oscuro, così da poterlo conoscere e questo è il suo dono. Oppure lucido pensiero che si dà nella sua essenzialità, con tutta la bellezza e la responsabilità di una voce la cui assoluta singolarità è tuttavia, proprio perché in contatto con le radici dell'umano, in grado di risuonare in una moltitudine. Nessuno può tuonare nel tempo una voce valida per tutti ma molte volte è stato fatto e sempre è divenuta voce di sventura.
A questo penso dopo gli applausi esplosi in Parlamento, quando hanno bloccato il DDL Zan e mi sovvengono alcuni versi di Pasolini:
E’ così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
da Ballata delle madri, Pier Paolo Pasolini
Tradimento
E’ riflesso d’ambra una crisalide di sogni
l’incolmabile distanza da te rarefatta
un’infanzia inutilmente trattenuta
scivolata come pugno di sabbia
mentre contavo ogni battito
del tutto e tutto mi appariva legame
quella numinosa illusione d’esserci e d’amare
C’è stato un frangersi freddo
nell’onda uno spezzarsi d’ossa
contro la scogliera e lacrime
ma sono sopravvissuta
tu sola sai indugiare con passi d’acrobata
sul filo d’inchiostro e di vetro dell’infelicità
mai placata dalla compassione
La mia strada non era filo di corda
piuttosto caduta verticale di stelle e di notti
una vertigine splendente di mistero
la mente confusa dall’ustione dell’indicibile
tu nella strada a graffiare muri e parole
con la rabbia del ricordo una lama d’addio
lontanissima in un punto a capo del nulla
Sai collezionare dolori minerali
esaltando ogni cosa lasciata
e custodire la tana dei vuoti
ma ti amavo ti amavo ti amavo
carezzavo ritorni - uno squarcio di sole
di te illuminata e milioni di parole
la vita intera scorreva tumultuosa
Ora sei silenzio - il più triste dei tradimenti.
Quando il reale mina il pensiero
non si hanno molte possibilità
o si accetta la caduta delle certezze
e nel silenzio si resta in ascolto
o si puntella con travi di ferro
il muro che già sta crollando
Quando la vita esplode incontenibile
e nasce l’impensabile sfida
o si tesse la fibra interna d’ogni sussurro
o si diviene megafono di menzogne
Ci vuole coraggio per smentire la rabbia
senza divenire rabbia
amore per non cadere nella trappola
dell’odio
una grande calma per sfuggire
all’occhio rapace del ciclone
e forti ali per contrastare il vento
sollevarsi oltre la linea scura del presente.
Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura
Tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.
Monologo per Cassandra
Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E' vero sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.
Ora lo rammento con chiarezza :
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.
Li amavo.
Ma amavo dall'alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall'alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos'è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-
E' andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questa è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
Wistawa Szymborska
Il settimo senso
Donne
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
uomini
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
bambini
costruttori di castelli di sabbia
vicino al mare che sale.
Audre Lorde
Volpe
Avevo bisogno forte di volpe bisogno forte
di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava
Avevo bisogno di riconoscimento
da un volto triangolato occhi gialli di stoppia
che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale
Avevo bisogno di storia di rovi leggenda di volpe che corre tra i rovi
Volevo volpe
E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare
Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia
o se il suo
coprpo poteva discorrere attraverso le mani irte verità che
stressano la superficie del pelo
pelle strappata che accusa la leggenda
coraggio di volpe in parole di volpe
Per un animale umano la richiesta d'aiuto
di un altro animale
è il grido più straziante e rivoltoso della terra
è una discesa ripida
Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare senza fine
e da subito
tanto indietro, scappa dalla bocca
nel grido neonato del non ancora nato
il non ancora donna partorito da una femmina
Adrienne Rich
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
Cesare Pavese
Dorme il mio amico
Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.
Ed io veglio perché lui dorma.
Quando son solo è che aspetto il mio amico.
Da lui non vado che la sera.
È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;
La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;
L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,
In cui il pensiero dei saggi si confonde, —
In cui la virtù dei puri si corrompe, —
Tanto la sete è desiderio d’amore
E l’amore è sete di toccare, —
In cui tutto ciò che non è di fuoco
In questa vampa perde il suo colore.
C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;
C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;
Grazie al mio amico
Senza paura attendo la dolce notte.
Quando è sera, il mio amico si sveglia;
Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.
Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.
Gli parlo dei grandi alberi del Nord
E delle fredde vasche in cui la luna,
Pastore celeste, come un amante, si bagna;
Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose
Hanno inventato le nude parole
Mentre quelle che non devono perire
Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —
E che la loro eternità le narra.
André Gide
Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura
Tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.
Monologo per Cassandra
Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E' vero sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.
Ora lo rammento con chiarezza :
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.
Li amavo.
Ma amavo dall'alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall'alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos'è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-
E' andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questa è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
Wistawa Szymborska
Il settimo senso
Donne
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
uomini
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
bambini
costruttori di castelli di sabbia
vicino al mare che sale.
Audre Lorde
Volpe
Avevo bisogno forte di volpe bisogno forte
di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava
Avevo bisogno di riconoscimento
da un volto triangolato occhi gialli di stoppia
che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale
Avevo bisogno di storia di rovi leggenda di volpe che corre tra i rovi
Volevo volpe
E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare
Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia
o se il suo
coprpo poteva discorrere attraverso le mani irte verità che
stressano la superficie del pelo
pelle strappata che accusa la leggenda
coraggio di volpe in parole di volpe
Per un animale umano la richiesta d'aiuto
di un altro animale
è il grido più straziante e rivoltoso della terra
è una discesa ripida
Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare senza fine
e da subito
tanto indietro, scappa dalla bocca
nel grido neonato del non ancora nato
il non ancora donna partorito da una femmina
Adrienne Rich
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
Cesare Pavese
Dorme il mio amico
Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.
Ed io veglio perché lui dorma.
Quando son solo è che aspetto il mio amico.
Da lui non vado che la sera.
È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;
La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;
L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,
In cui il pensiero dei saggi si confonde, —
In cui la virtù dei puri si corrompe, —
Tanto la sete è desiderio d’amore
E l’amore è sete di toccare, —
In cui tutto ciò che non è di fuoco
In questa vampa perde il suo colore.
C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;
C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;
Grazie al mio amico
Senza paura attendo la dolce notte.
Quando è sera, il mio amico si sveglia;
Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.
Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.
Gli parlo dei grandi alberi del Nord
E delle fredde vasche in cui la luna,
Pastore celeste, come un amante, si bagna;
Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose
Hanno inventato le nude parole
Mentre quelle che non devono perire
Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —
E che la loro eternità le narra.
André Gide